Une excellente analyse (en italien) d’Alessandra Riccio (Naples, Italie)
Professeur de littérature hispanoaméricaine, une des meilleures spécialistes italienne de l’Amérique Latine et de Cuba
El patio trasero: verità o paranoia?
Il 5 giugno del 1958, Fidel Castro mandava un biglietto a Celia Sánchez che riproduco testualmente: “Celia: quando ho visto i missili che hanno tirato sulla casa di Mario, ho giurato a me stesso che gli americani pagheranno caro quello che stanno facendo. Quando finirà questa guerra, per me comincerà una guerra molto più lunga e grande: la guerra che farò contro di loro. Mi rendo conto che questo sarà il mio vero destino. Fidel”
Succedeva cinquantacinque anni fa sulla Sierra Maestra, nell’Oriente cubano, dove un gruppo di insorti combatteva da quelle montagne la sanguinaria dittatura di Fulgencio Batista, così amico degli Stati Uniti d’America da poter usufruire di missili targati USAF (United States Air Force) per massacrare una terra aspra popolata da poveri contadini oltre che da animosi guerriglieri.
Da allora, il leit-motiv del governo cubano continua ad essere un’accusa contro la politica aggressiva del prepotente vicino che, ancora a giugno del 2013, conferma per Cuba l’accusa di essere un paese “patrocinatore del terrorismo”, naturalmente senza sentire il bisogno di dimostrarlo. L’amministrazione Obama accusa ancora oggi il governo dell’isola di aver dato asilo a militanti dell’ Eta, trascurando il particolare che fu proprio il governo spagnolo di Felipe González a chiedere che Cuba si occupasse di liberarlo da quella patata bollente; anche per l’accusa di proteggere nel proprio territorio i combattenti delle Farc colombiane, l’accusa suona ridicola quando pubblicamente, da un anno, a Cuba si tengono i dialoghi di pace fra guerriglia e governo colombiano, sotto il controllo di Norvegia, Cuba, Venezuela, ecc. C’è, infine, l’accusa di aver offerto rifugio a rei in contumacia della giustizia statunitense. Il caso più eclatante è quello della militante del Black Panther, Assata Shakur che vive rifugiata a Cuba da quasi trenta anni, ma che non è stata imputata di atti di terrorismo. Sulla testa della Shakur è stata messa, adesso, una forte taglia da parte della Fbi. Intanto, quattro dei cinque cubani che lavoravano in Florida per controllare e disinnescare le manovre di sabotaggio e destabilizzazione che da più di cinquanta anni vengono organizzati e messi in atto negli ambienti controrivoluzionari e anticastristi della Florida, continuano a marcire in galera mentre una commissione delle Nazioni Unite, numerosi giuristi, premi Nobel e personalità del mondo intero hanno messo in discussione la legittimità del processo e delle sentenze.
Dopo tanti decenni, è lecito chiedersi se abbia ancora senso l’ostinazione del governo cubano nell’accusare gli Stati Uniti per le illegalità commesse contro Cuba, dall’occupazione della base di Guantánamo, trasformata addirittura in una prigione illegale, al garantire l’impunità a rei confessi come Posada Carriles o Orlando Bosh, fino all’ innumerevole elenco di coperture a spedizioni, trasporti di armi e droga, e voli illegali finalizzati a sabotaggi, organizzati, preparati e partiti dalle coste e dagli aeroporti statunitensi, sotto lo sguardo miope delle autorità del paese che hanno pure organizzato numerosi tentativi per eliminare fisicamente il “líder máximo”. Viene da chiedersi come definirebbero quelle autorità statunitensi spedizioni armate, voli sui propri cieli, penetrazioni di agenti armati di esplosivi sul proprio, sacro, territorio. Immagino che non esiterebbero a definirle “azioni terroristiche”. Tutto questo avviene da mezzo secolo in acque, cieli e terre cubane senza che le amministrazioni statunitensi abbiano mai provveduto al controllo dei gruppi armati anticastristi che continuano ad addestrarsi in Florida, sotto gli occhi di tutti e, spesso con l’assistenza di agenti governativi Usa. E qui non accenno nemmeno alla caterva di Ong e associazioni varie che, sotto mentite spoglie, agiscono per conto della Cia e a spese del contribuente nordamericano per la destabilizzazione del governo dell’isola, Oltre agli interventi operati direttamente all’Avana dai funzionari della Sina, l’Ufficio di Interessi Statunitense a Cuba. Sul lavoro di cooptazione di eventuali dissidenti cubani si può leggere ora l’interessante testimonianza di Raúl Antonio Capote, per anni doppio agente, della Cia e del governo cubano, che ha ha consegnato la sua esperienza in un libro (Raúl Capote, Enemigo, Editorial José Martí, La Habana, 2011).
Alle accuse di Cuba, negli ultimi anni, si sono aggiunte quelle del Venezuela di Chávez, della Boliva di Morales e dell’Ecuador di Correa, uniti nel denunciare le continue operazioni di destabilizzazione sempre organizzate, ispirate e aiutate da organi importanti del Governo degli Stati Uniti.
Si tratta dunque di una sindrome continentale oppure le denuncie di questi paesi sono ancora e sempre veritiere nonostante il passare degli anni e dei presidenti degli Stati Uniti?</p
Nel 2009, poco dopo aver presso possesso dell’incarico fra l’entusiasmo del mondo intero che aveva dovuto sopportare e spesso assecondare le iniziative di George Bush nella sua lotta contro il terrorismo, Barak Obama si era recato a Trinidad Tobago per partecipare al V Vertice delle Americhe. Lì aveva stretto la mano ai nuovi presidenti disobbedienti al consenso di Washington, aveva ricevuto dalle mani di Hugo Chávez, ancora in buona salute, Le vene aperte dell’America Latina, di Eduardo Galeano e aveva dichiarato che era arrivato il momento di sviluppare dei rapporti “fra uguali”, confessando che “a volte abbiamo cercato di imporre le nostre condizioni. Possiamo esserci sbagliati, lo confessiamo, siamo umani”. Belle parole, ma parole al vento come dimostrano i fatti, soprattutto dopo le rivelazioni fatte dall’ex agente della Cia, Snodwen.
Riprendo in mano un libro molto istruttivo di Paolo Barnard (Paolo Barnard, Perché ci odiano, Rizzoli, 2006) e rileggo in un rapporto del Dipartimento di Giustizia di Washington del 23 gennaio 1989 basato su informazioni dell’Fbi, l’opinione del dipartimento su Orlando Bosh: “Per trenta anni Bosh ha propugnato la violenza terrorista in modo risoluto e senza cedimenti. Ha minacciato e portato a termine attacchi terroristici contro numerosi bersagli [...] le sue azioni sono state quelle di un terrorista indifferente alle leggi e alla decenza umana, che ha inflitto violenza senza considerazione alcuna per l’identità delle sue vittime [...] Le informazioni contenute nella documentazione dell’Fbi dimostrano chiaramente e oltre ogni dubbio che Bosh ha incitato, incoraggiato, organizzato e compiuto atti di violenza terroristica”. L’opinione del Dipartimento di Giustizia non lascia dubbi, eppure questo losco figuro è morto nel suo letto da libero cittadino, molti anni dopo, perfino dopo l’11 settembre del 2001, quando il governo degli Stati Uniti scatenava la guerra contro il terrorismo, ed è morto nell’ospitale Miami, forse perfino nella casa alla cui porta Barnard aveva bussato sperando di poterlo intervistare e da dove era stato scacciato da minacciosi vicini. Il Venezuela chiede da anni, invano, l’estradizione di Posada Carriles, reo confesso di un attentato ad un aereo civile che causò settanta morti, mentre il Presidente Obama rimprovera a Cuba di tenere in prigione il cittadino statunitense Alan Gross, trovato con le mani in pasta mentre distribuiva materiale elettronico ultrasofisticato per la comunicazione dall’Avana.
Per ridimensionare la percezione generalizzata in Occidente che gli Stati Uniti siano la culla della democrazia e il paese più civile del mondo non bastano le imbarazzanti notizie che si susseguono a ritmo incalzante rivelando che, nell’era di Obama, il Dipartimento di Giustizia ha intercettato per due mesi i telefoni della Associated Press, compresi i telefoni privati dei giornalisti (www.newyorker.com 14.5.13); che il Pentagono ha deciso che: “I comandanti militari federali hanno l’autorità, in circostanze straordinarie di emergenza in cui l’autorizzazione previa del Presidente sia impossibile e le autorità locali debitamente costituite siano incapaci di controllare la situazione, di partecipare temporaneamente alle attività necessarie per calmare disturbi civili inattesi a larga scala” (Jean-Guy Allard, Granma 31.5.13); che l’ex agente della CIA, Snowden abbia rivelati fino a che punto gli Stati Uniti spiano perfino i propri più fedeli alleati.
Paul Craig Roberts, editorialista del The Wall Street Journal ed ex collaboratore di Reagan dimostra di essere preoccupato per questa miopia dell’opinione pubblica; il 30 maggio 2013 ha scritto su Global Researche/Rebelión: “Quel che ho notato è che ogni volta che accade un episodio sorprendente, come l’11 settembre o l’attentato alla maratona di Boston, quasi tutti da destra e da sinistra accettano la spiegazione del governo, perché possono appendere i loro obbiettivi a quel racconto. [...] Dica quel che dica il governo, non importa quanto problematico sia, la storia ufficiale riesce a imporsi per la sua compatibilità con predisposizioni e obbiettivi esistenti. Per esempio, uno scrittore conservatore nell’edizione di giugno di Chronicles utilizza la storia del governo sui presunti attaccanti della maratona di Boston, Dzhokhar e Tamerlan Tsarnaev, per argomentare contro l’immigrazione, l’amnistia agli indocumentati e l’asilo politico ai mussulmani. [...] Questo scrittore accetta tutte le indimostrabili dichiarazioni del governo come prove del fatto che i fratelli fossero colpevoli. Il fratello ferito, che non poteva neanche rispondere al proprietario della barca che lo aveva scoperto, e che ha dovuto essere assistito con supporto vitale, è riuscito chissà come a scrivere una confessione mentre era dentro la barca, [ma quando si è presentato in tribunale il 9 luglio, si è dichiarato innocente]. A questo scrittore conservatore non viene in mente che qualcosa va male quando si decreta la legge marziale in una delle principali città degli Stati Uniti e della sua area metropolitana, o quando soldati fortemente armati occupano le strade con blindati e quando viene ordinato ai cittadini di uscire di casa con le mani sulla testa, tutto questo per cercare un sospetto ferito di 19 anni”.
Le stesse osservazioni, gli stessi sospetti, gli stessi interrogativi leggo in uno scritto di Sara Rosenberg, intellettuale argentina residente a Madrid, che commenta l’orrendo episodio dei due giovani africani che avrebbero massacrato a colpi di machete un soldato inglese nelle vie di Londra nel maggio scorso. La Rosenberg constata che: “la triade negro-mussulmano-assassino si istalla prima della domanda sulla storia del personaggio e nessuno si chiede come è stato costruito il personaggio. Non c’è tempo per chiedere [...] Come è possibile che a cento metri da una caserma militare con sentinelle, venga ucciso con un coltello e un machete un soldato? Perché non c’era polizia né ambulanza? Perché nel video nessuno sembra sorpreso? Perché tanta tranquillità e registrazione televisiva intorno? [...] L’albero divora il bosco. La notizia del crimine viene trasmessa senza posa per tutto un giorno, dopo di che scompare senza lasciare traccia il giorno dopo[...] Sui dettagli si sorvola. E anche sulla notizia, perché il giorno dopo non si dice più niente. I presunti assassini non esistono più. Il caso è soppresso. E’ stato ottenuto l’effetto”.
Nell’era della rivoluzione telematica, quando l’informazione può teoricamente arrivare a tutti, non possiamo difenderci dalla manipolazione della realtà da parte di forze non sempre occulte. E diventa sempre più difficile difendersi dall’informazione manovrata e mirata che sconcerta e confonde i cittadini i quali fanno fatica a ricordare che il paese che inalbera continuamente il tema dei diritti umani e si erge a difensore dei popoli oppressi da tiranni, è anche il paese che si è svincolato dalla Corte Penale Internazionale perché non tollera che i suoi cittadini vengano giudicati all’estero per genocidio o per crimini di guerra o contro l’Umanità.
L’opinione pubblica si mostra indifferente al fatto che Julian Assange ha già passato più di un anno recluso nell’Ambasciata dell’Ecuador a Londra; segue stancamente il processo blindato del soldato Manning e non sembra solidarizzare con il transfuga di Hong Kong, l’informatico della Cia Edward Snowden, le cui rivelazioni pubblicate dal Guardian, hanno rivelato che l’Amministrazione di Obama metteva il naso nelle principali reti informatiche, un giovane che adesso rischia la vita per sua stessa ammissione poiché è tradizione che la Cia non perdoni. Eppure, l’atletico Obama, Premio Nobel per la Pace, continua ad alzare la voce dando lezioni di democrazia a Erdogan oggi, a Chávez ieri, ai “fratelli Castro” sempre.
Gli Usa hanno seminato il mondo di basi militari, si sono messi al di sopra delle leggi che valgono per il resto del pianeta, trovano conveniente, con il pretesto di imporre il rispetto per le persone a loro insindacabile giudizio, infiammare il Medio Oriente, un paese dopo l’altro, destabilizzare il Nord Africa, blindare i rapporti commerciali con l’Europa, progettare l’Alleanza Pacifica (TransPacific Partnerschip, v. http://www.jornada.unam.mx/2013/05/23/opinion/021a2pol) per contrastare l’ALBA dei governi popolari dell’America Latina. Ne fanno già parte Messico, Cile, Perù e la Colombia che dopo aver concesso sette basi militari agli statunitensi, adesso fa la corte alla NATO.
Il vergognoso diniego, a luglio, di sorvolo e di atterraggio di quattro paesi europei per l’aereo presidenziale della Bolivia ha dimostrato fino a che punto un ordine impartito da Washington viene obbedito perfino dalla Francia, tradizionalmente uno dei paesi europei più attento alla propria sovranità.
Barbara Spinelli, su La Repubblica del 3 luglio 2013 aveva avvertito: “Il soldato Manning a un certo punto non ce la fece più, e passò al fondatore di Wikileaks, Assange, documenti e video su occultati crimini americani: l’attacco aereo del 4 maggio 2009 a Granai in Afganistan (tra 86 e 147 civili uccisi); il bombardamento del 12 luglio 2007 a Baghdad (11 civili uccisi, tra cui 3 inviati della Reuters. Il video si intitola Collateral Murder, assassinio collaterale). Accusato di alto tradimento è l’informatore, non i piloti che ridacchiando freddavano irakeni inermi. Arrestato e incarcerato nel maggio 2010, Manning è sotto processo dal 3 giugno scorso. Un <processo-linciaggio>, nota lo scrittore Chris Hedges, visto che l’imputato non può fornire le prove decisive. I documenti che incolpano l’esercito Usa restano confidenziali; e gli è vietato invocare leggi internazionali superiori alla ragione di Stato (principi di Norimberga sul diritto a non rispettare gli ordini in presenza di crimini di guerra, Convenzione di Ginevra che proibisce attacchi ai civili).”
Più chiaro di così!
Dopo il vergognoso trattamento subito dal presidente della Bolivia, Evo Morales, obbligato a restare all’aeroporto di Vienna per 13 ore e ad opporsi ad un inopportuno ambasciatore di Spagna che voleva appena appena ispezionare l’aereo alla caccia di Snowden, sembra che anche una parte dell’Europa cominci a capire la gravità di quanto accaduto sia perché è apparso chiaro che Italia, Portogallo, Spagna e Francia hanno agito su pressione degli Stati Uniti, sia perché sono state violate in maniera eclatante convenzioni condivise e approvate da tutti con grave rischio per la convivenza fra popoli. Lo scrittore spagnolo Manuel Rivas, su El País del 6 luglio, con particolare sensibilità ricorda un aneddoto dei tempi della colonia, quando un frate, in una lettera a un collega, spiegava di aver ordinato di tagliare le orecchie a un indigeno perché “era indocile al comando della mia voce”. Aneddoto terribile ma efficace per spiegare che l’indocilità di uomini come Evo Morales meritano un trattamento di spregio, a prescindere dalla carica che ricopre. Rivas conclude affermando: “Il caso Snowden ha messo in evidenza il fatto che ormai non ci sono più cittadini ma individui sospetti. E stiamo tutti lì. Proprio in quel disgraziato limbo.”
Un ex presidente della Bolivia, lo storico Carlos D. Mesa, sempre su El País (5 luglio 2013) non esita ad accusare noi europei e chi ci governa, di non renderci conto del punto in cui siamo arrivati: “La verità è che i leaders dell’Occidente si sono persi nel loro stesso labirinto: Al tempo stesso, gli Stati Uniti sono preda dei loro incubi e osservano impotenti come la rete del loro potere è il grande buco della loro debolezza. La tecnologia che permette loro di entrare in casa di qualunque mortale in qualunque parte del pianeta è la stessa che ha dato luogo a Wikileaks e che permette a Snowden –animato o no da ragioni morali o politiche- di mettere in evidenza una trama dalla quale nessuno sembra poter scappare”.
In un’intervista al quotidiano messicano La Jornada (13.6.13), Julian Assange fa notare che la fine della guerra fredda “ci ha portato a una posizione nella quale tutta la terra si cucina simultaneamente in una stessa ideologia, quella occidentale […] Questo cambiamento di ideologia domina la terra.” In una lettera aperta, a firma “Alba de los movimientos sociales” indirizzata ai governi degli Stati Uniti e d’Europa e ai popoli dell’America Latina del 7 luglio, veniva ricordato al mondo che: “negli ultimi cinque anni gli Stati Uniti hanno ucciso più di duemila persone, senza un giudizio previo,, solamente in quattro paesi arabi, utilizzando gli aerei senza piloti noti come droni e utilizza il servizio di intelligenza e di spionaggio via internet per localizzare i suoi nemici e poi assassinarli, senza nessun diritto alla difesa.”
Al calore della drammatica vicenda delle Torri Gemelle, Dick Cheney dichiarava nella trasmissione “Meet the Press” del 16.9.2001: “Dobbiamo anche agire, diciamo, sul lato oscuro se volete … per noi sarà vitale utilizzare tutti i mezzi a nostra disposizione, assolutamente tutti, per raggiungere il nostro obbiettivo”, ma lo scrittore Nick Flynn, già citato e da cui traggo questa notizia, commenta amaramente: “Io sono arrivato a pensare che la funzione della tortura nella nostra società non ha niente a che vedere con l’ottenere informazioni, nonostante quello che vorremmo credere. Non è altro che una questione di potere. E’ un modo per dire al mondo che non c’è limite a quel che possiamo fare se ci sentiamo minacciati”. Ma, dopo aver incassato le scuse del Governo Spagnolo per l’incidente dell’aereo presidenziale, il Ministro boliviano alla Presidenza, Juan Ramón Quintana, ha fatto notare che la questione della diffusione di documenti e comunicazioni riservate rivela che non si tratta unicamente di una questione di sicurezza nazionale o di supremazia militare: dietro questo forsennato e macroscopico vai e vieni di rivelazioni ci sono fortissimi interessi economici e commerciali. Ha dichiarato all’Agenzia Prensa Latina il 15 luglio: “Il caso Snowden ha rivelato che il governo statunitense ha passato i suoi servizi di spionaggio a imprese private [...] e che queste non cercano informazioni militari, ma informazioni economiche. Queste imprese stanno in posti di valore strategico per la concorrenza commerciale [...] Queste azioni sono fatte in Brasile, in Cina, in Russia [...] dunque sono imprese private quelle che stanno vulnerando la sovranità di molti paesi del mondo intero”
In quel lontano 1958, la distruzione prodotta da missili USA sulla Sierra Maestra, avevano già convinto Fidel Castro che di una questione di supremazia si trattava e che per il potente vicino del Nord era sufficiente la percezione della minaccia per scatenarne la reazione.
Alessandra Riccio, Napoli, julio 2013
